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ix - il «decamerone» 301


i sentimenti, si fa cullare dolcemente dalla sua immaginazione in questo mondo idillico, e descrive paesaggi e scene di famiglia e costumi pastorali con una facilitá che spesso è negligenza, non è mai affettazione o esagerazione. La tromba è mutata nella zampogna, suono piú umile ma uguale e armonioso: l’ottava procede piana e naturale, talora troppo rimessa; e non mancano di bei versi imitativi. Africo e Mensola debbono dividersi, ché l’ora è tarda; e il poeta dice:

                                                                       Partir non si sanno,
ma or si partono, or tornano, or vanno.
     
Altrove dice:
                                    Sempre mirandosi avanti ed intorno,
se Mensola vedea poneva mente.
     
Frequente è in lui l’uso dello sdrucciolo in mezzo al verso e quell’entrare de’ versi l’uno nell’altro, che slega e intoppa le sue ottave eroiche, ma dá a queste ottave idilliche un aspetto di naturalezza e di grazia. Il suo periodo poetico, saltellante e imbrogliato nella Teseide, qui è corrente e spedito, assai prossimo al linguaggio naturale familiare:
                                         Ella lo vide prima che lui lei,
perché a fuggir del campo ella prendea:
Africo la senti gridare: — Omei! —
e poi guardando fuggir la vedea:
e infra sé disse: — Per certo costei
è Mensola; — e poi dietro le correa;
e si la prega e per nome la chiama,
dicendo: — Aspetta quel che tanto t’ama. —
     
Africo dorme; e il padre dice alla moglie, Alimena:
                                                                                      — O cara sposa,
nostro figliuol mi pare addormentato,
e molto ad agio in sul letto si posa,
si che a destarlo mi parria peccato,
e forse gli saria cosa gravosa
sed io l’avessi del sonno svegliato.
— E tu di’ vero — diceva Alimena: —
lasciai posare e non gli dar piú pena. —