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x - l’ultimo trecentista | 333 |
lieta brigata dove i versi saranno cantati, tra musica e ballo. Veggasi la ballata del «pruno» e il madrigale del «falcone».
Le novelle del Sacchetti hanno per materia lo stesso mondo boccaccevole in un aspetto piú borghese e domestico: frizzi, burle, amorazzi, ipocrisie fratesche, aneddoti, pettegolezzi vengon fuori; bassa vita popolana in forma popolana. Alcuni le pregiano piú che il Decamerone per lo stile semplice e naturale e rapido, non privo di malizia e di arguzia fiorentina. Ma la naturalezza del Sacchetti è quella dell’uomo a cui le muse sono avare de’ loro doni. Non è artista, e neppure d’intenzione: gli manca ogni sorta d’ispirazione. Quel mondo, con tanta magnificenza organizzato nel Decamerone, è qui un materiale grezzo, appena digrossato. Perciò delle sue trecento novelle si ricorda appena qualche aneddoto: nessun personaggio è rimasto vivo.
Il Sacchetti sopravvisse al secolo. Nel suo buon umore ci è una nota malinconica, che all’ultimo manda piú lugubre suono. Non piace al brav’uomo un mondo in cui chi ha piú danari vale piú, e grida che «vertú con pecunia non si acquista», e che «gentilezza e virtú son nella mota». Dipinge al vivo gli avvocati de’ suoi tempi:
Legge civile e ragion canonica apparan ben, ma nel mal spesso l’usano: difendono i ladroni e gli altri accusano. Chi ha danari e chi piú puote scusano: tristo a colui che con costor sincronica, se non empie lor man sotto la tonica! |
Pieno è il mondo di chi vuol far rime: tal compitar non sa, che fa ballate, tosto volendo che sieno intonate. Cosi del canto avvien: senz’alcun’arte mille Marchetti veggio in ogni parte. |