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ii - i toscani 41


                                         povertá non la parte,
né nulla ria ventura.
     Quel che tu dici in camera,
non dire in ogni loco.
A piaga metti unguento,
non vi mettere il fuoco...
     

E cosi hai motto a motto, spesso senz’altro legame che il caso, qual piú, qual meno felice, in quella forma sentenziosa ed esemplata che è propria dell’immaginazione popolare, prima ancora che nasca la favola e il racconto. E trovi certo piú gusto in queste prime rozze formazioni cosi piene della vita e del sentire comune, che ne’ sonetti e canzoni morali in forma piú artificiosa, ma contorta e scolastica, di Onesto e Semprebene e altri trovatori.

Questi uomini con tanti proverbi in bocca e con tanta divozione alla Madonna e a’ santi, con l’immaginazione piena di leggende e avventure cavalleresche, avevano nel piccolo spazio del comune una vita politica ancora piú vivace e concentrata che non è oggi, allargata com’è e diffusa in quegl’immensi spazi che si chiamano «regni». Certo, i costumi si polivano come la lingua; ma religione e cavalleria, misteri e romanzi, se colpivano le immaginazioni, poco bastavano a contenere e regolare le passioni suscitate con tanta veemenza dalle lotte municipali. Questa vita era troppo reale, troppo appassionata e troppo presente, perché potesse esser vista con la serenitá e la misura dell’arte. Si manifesta con la forma grossolana dell’ingiuria, appena talora rallegrata da qualche lampo di spirito. Un esempio è il verso:

                               Quando l’asino raglia, un guelfo nasce.      

Questa forma primitiva dell’odio politico, amara anche nel motteggio e nell’epigramma, e cosi sventuratamente feconda tra noi anche ne’ tempi piú civili, non esce mai dalle quattro mura del comune, con particolari e allusioni cosi personali, che manca con la chiarezza ogni interesse: prova ne sieno i sonetti di Rustico. Certo, in questo antico esempio di satira politica vedi