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54 storia della letteratura italiana


operare che ne’ cuori gentili: perciò gli amanti sono chiamati fini e cortesi. Gentilezza non nasce da nobiltá o da ricchezza, ma da virtú. E però le virtú sono suore d’Amore e fanno star lucente il suo dardo finché sono onorate in terra. Ma la virtú è in pochi, e l’amore è perciò «di pochi vivanda». L’obbietto dell’amore è la bellezza, non il «bello di fuori», le parti nude; ma il «dolce pomo», concesso solo a chi è amico di virtú. La bellezza non si mostra se non a chi la intende: amore è chiamato dagli antichi «intendanza», e Dante non dice «sentire amore», ma «avere intelletto d’amore». Ad appagare l’amore basta il vedere, la contemplazione. Vedere è amore, amore è intendere.

                                              E chi la vede e non se n’innamora,
d’amor non averá mai intelletto.
     
Le intelligenze celesti movono le stelle intendendo:
                                         Voi, che intendendo il terzo ciel movete.      
Dio move l’universo pensando:
                                         Costei pensò chi mosse l’universo.      

Né altro è amore nell’uomo che «nova intelligenza che lo tira su», lo avvicina alla prima intelligenza. La donna, esemplare della bellezza, è «nobile intelletto»:

                                              .   .   .   .   .   .   O nobile intelletto,
oggi fu l’anno che nel ciel partisti.
     

La donna è perciò il viso della conoscenza, la bella faccia della scienza, che invaghisce l’uomo e sveglia in lui nova intelligenza, lo fa intendere. La donna dunque è la scienza essa medesima, è la filosofia nella sua bella apparenza; e questo è la bellezza, il dolce pomo consentito a pochi. Intendere è amore, e amore è operare come s’intende; perciò filosofia è «uso amoroso di sapienza», scienza divenuta azione mediante l’amore. La virtú non è altro che sapienza, vivere secondo i dettati della