Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
iii - la lirica di dante | 61 |
Sentimento di soddisfazione che si volge in tristezza e talora in fieri accenti di sdegno contro la moltitudine degli uomini, «bestie che somigliano uomo». E dove non è virtú, non è amore e non dovrebbe esser bellezza; onde esorta le donne a partirla da loro:
Ché la beltá, ch’Amore in voi consente, |
Qui, sviluppato in forma scolastica, è il solito concetto dell’amore, che fa uno di due, unisce bellezza e virtú. Ma questo concetto è per Dante cosa vivente, è l’anima del mondo, l’unitá della vita. E poiché vede bellezza e non trova virtú, sente nella vita una scissura, una discordia, che lo move a sdegno. Indi quel movimento d’immaginazione cosí nuovo e originale, quel desiderare nella donna e sperar poco un atto di «bel disdegno», per il quale dica: — Poiché nell’uomo non è virtú, cesso di esser bella, cesso di amare. — Dante si crede obbligato ad argomentare, ad esporre il suo concetto in forma dottrinale, e qui è il suo torto, qui è la forma che lo certifica di quel tempo; ma qui il concetto scientifico e la sua esposizione scolastica è un accessorio; la sostanza è il sentimento che sveglia nel poeta la contraddizione tra quel concetto e la realtá: «Lasso! a che dicer vegno?». Il poeta sente la vanitá de’ suoi desidèri e che il mondo andrá sempre a quel modo.