Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. I, 1962 – BEIC 1807078.djvu/14

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Rozzissima è una canzone di Folco di Calabria, poeta assai antico; ma nella fine trovi lo stesso sentimento in una forma certo lontana da questa perfezione, pur semplice e sincera :

Perzò meglio varria morir in tutto in tutto, ch’usar la vita mia in pena ed in corrutto, com’uom languente.

Nella canzone a stampa di Folcacchiero da Siena, fredda e stentata, è pure qua e cola una certa grazia nella nuda ingenuitá di sentimenti che vengon fuori nella loro cruditá elementare. Udite questi versi :

E’ par eh’ eo viva in noia della gente:

ogn’uomo m’ è selvaggio:

non paiono li fiori

per me com’ giá soleano,

e gli augei per amori

dolci versi faceano — agli albori.

Questi fenomeni amorosi sono a lui cosa nuova, che lo empiono di maraviglia e lo commuovono e lo interessano, senza ch’ei senta bisogno di svilupparli o di abbellirli. Narra, non rappresenta e non descrive. Non è ancora la storia, è la cronaca del suo cuore.

Però niente è in questi che per ingenuitá e spontaneitá di forma e di sentimento uguagli il canto di Rinaldo di Aquino o di Odo delle Colonne. Sono due esempli notevoli di schietta e naturale poesia popolare.

Ma la coltura siciliana avea un peccato originale. Venuta dal di fuori, quella vita cavalleresca, mescolata di colori e rimembranze orientali, non avea riscontro nella vita nazionale. La gaia scienza, il codice d’amore, i romanzi della Tavola rotonda, i Reali di Francia, le novelle arabe, Tristano, Isotta, Carlomagno e Saladino, il soldano, tutto questo era penetrato in Italia, e se colpiva l’ immaginazione, rimaneva estraneo all’anima e alla, vita