Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. I, 1962 – BEIC 1807078.djvu/196

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L’esperienza avea le sue colonne d’ Ercole; la ragione avea pure le sue colonne. Questo concetto qui è serio, non è sublime né tragico; perché l’uomo che, con la temeritá oraziana sforza la natura, è qui, non dirimpetto a Dio come Prometeo e Capaneo, ma colpito e soggiogato, senza che in lui paia vestigio di ribellione, di orgoglio e di violenza:

Dove rui,

Anfiarao? perché lasci la guerra?

E non restò di ruinare a valle, fino a Minòs che ciascheduno afferra.

L’uomo di Orazio è sublime, perché lo vedi nell’opera, senti in lui la voluttá del frutto proibito, malgrado Dio e la natura. Anfiarao è un puro nome : sublime di terrore è quel suo precipitare a valle, mostrandocelo successivamente inabissarsi; ma il grottesco vien subito dopo:

Mira c’ ha fatto petto delle spalle: perché volle veder troppo davante, dirietro guarda e fa ritroso calle.

Ulisse, che ha varcato i segni di Ercole, è travolto nelle acque per giudizio di Dio, «come a lui piacque». Pure un po’ dell’audacia di Ulisse è ancora in Dante, che gli mette in bocca nobili parole, e ti fa sentire quell’ardente curiositá del sapere che invadeva i contemporanei. Ti par di assistere al viaggio di Colombo. Il peccato diviene virtú. Se la logica ghibellina pone in inferno l’autore dell’agguato contro Troia, radice delT impero sacro romano, la poesia alza una statua a questo precursore di Colombo, che indica col braccio nuovi mari e nuovi mondi, e dice a’ compagni :

Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtude e conoscenza.

Ulisse è il grand’uomo solitario di Malebolge : è una piramide piantata in mezzo al fango. Il comico penetra da tutt’ i lati.