Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. II, 1912 – BEIC 1807957.djvu/113

Da Wikisource.

xv - machiavelli 107


si rassegnavano, e illustrarono l’Italia con la loro caduta. Nel Guicciardini comparisce una generazione giá rassegnata. Non ha illusioni. E perché non vede rimedio a quella corruttela, vi si avvolge egli pure e ne fa la sua saviezza e la sua aureola. I suoi Ricordi sono la corruttela italiana codificata e innalzata a regola della vita.

Il dio del Guicciardini è il suo particolare. Ed è un dio non meno assorbente che il Dio degli ascetici o lo Stato del Machiavelli. Tutti gl’ ideali scompariscono. Ogni vincolo religioso, morale, politico, che tiene insieme un popolo, è spezzato. Non rimane sulla scena del mondo che l’individuo. Ciascuno per sé, verso e contro tutti. Questo non è piu corruzione, contro la quale si gridi: è saviezza, è dottrina predicata e inculcata, è l’arte della vita.

Il Guicciardini si crede piú savio del Machiavelli, perché non ha le sue illusioni. Quel venir fuori sempre con l’antica Roma lo infastidisce, e rompe in questo motto sanguinoso:


Quanto si ingannano coloro che ad ogni parola allegano e’ romani! Bisognerebbe avere una cittá condizionata come era la loro, e poi governarsi secondo quello esemplo: il quale a chi ha le qualitá disproporzionate è tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che uno asino facesse il corso di un cavallo.


In questo concetto della vita il Guicciardini è di cosi buona fede, che non sente rimorso e non mostra la menoma esitazione, e guarda con un’aria di superioritá sprezzante gli uomini che fanno altrimenti. Il che avviene, a suo avviso, non per virtú o altezza d’animo, ma «per debolezza di cervello», avendo offuscato lo spirito dalle apparenze, dalle impressioni, dalle vane immaginazioni e dalle passioni. Ci si vede l’ultimo risultato a cui giunge lo spirito italiano, giá adulto e progredito, che caccia via l’immaginazione e l’affetto e la fede, ed è tutto e solo cervello o, come dice il Guicciardini, «ingegno positivo».

Perché l’ingegno sia positivo si richiede la «prudenza naturale», la «dottrina» che dá le regole, l’«esperienza» che dá gli esempli, e il «naturale buono», tale cioè che stia al reale