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xv - machiavelli 109


ducato che tu hai in borsa, che dieci che tu ne hai spesi». Studia di «parere buono», perché «il buon nome vale piu che molte ricchezze». Non meritarti nome di sospettoso; ma, perché piú sono i cattivi che i buoni, «credi poco e fidati poco». Questo è il succo dell’arte della vita seguita da’ piú, ancorché con qualche ipocrisia, come se ne vergognassero. Ma il Guicciardini ne fa un codice, fondato sul divorzio tra l’uomo e la coscienza e sull’interesse individuale. È il codice di quella borghesia italiana, tranquilla, scettica, intelligente e positiva, succeduto a’ codici d’amore e alle regole della cavalleria.

Ma il Guicciardini, con tutta la sua saviezza, trovò un altro piú savio di lui, e, volendo usare Cosimo a benefizio suo, avvenne che fu lui istrumento di Cosimo. Cosí fini la vita, come il Machiavelli, nella solitudine e nell’abbandono. Ebbe anche lui le sue illusioni e i suoi disinganni, meno nobili, meno degni della posteritá, perché si riferivano al suo particolare. Ritirato nella sua villa d’Arcetri, usò gli ozi a scrivere la Storia d’Italia.

Se guardiamo alla potenza intellettuale, è il lavoro piú importante che sia uscito da mente italiana. Ciò che lo interessa non è la scena, la parte teatrale o poetica, sulla quale facevano i loro esercizi rettorici il Giovio, il Varchi, il Giambullari e gli altri storici. I fatti piú maravigli osi o commoventi sono da lui raccontati con una certa sprezzatura, come di uomo che ne ha viste assai e non si maraviglia e non si commove piú di nulla. Non ha simpatie e antipatie, non ha tenerezze e indignazioni, e neppure ha programmi o preconcetti intorno a’ risultati generali dei fatti e alle sorti del suo paese. Il suo intelletto chiaro e tranquillo è chiuso in sé, e non vi entra nulla dal di fuori che lo turbi o lo svii. È l’intelletto positivo, con quelle qualitá che abbiamo notate e che in lui sono egregie: la prudenza naturale, la dottrina, l’esperienza, il naturale buono e la discrezione. Maravigliosa è soprattutto la sua discrezione nel non riconoscere principi né regole assolute, e giudicare caso per caso, guardando in ciascun fatto la sua individualitá, quel complesso di circostanze sue proprie, che lo fanno esser quello e non un altro; dov’è la vera distinzione tra il pedante e l’uomo d’ingegno.