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storia della letteratura italiana |
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del secolo decimottavo. I fenomeni erano i medesimi. Allora si chiamava «barbarie» il medio evo: ora si chiama «barbarie» medio evo e Rinascimento. Lo stesso impeto negativo e polemico è ne’ due movimenti, foriero di guerre e di rivoluzioni. E ci erano le stesse idee, maturate e sviluppate oltralpe, strozzate presso di noi e rivenuteci dal di fuori. Anzi il movimento non è che un solo, prolungatosi per due secoli con diverse vicissitudini nelle varie nazioni, procedente sempre attraverso alle piú sanguinose resistenze, e ora accentrato e condensato sotto nome di «filosofia», fatto della letteratura suo istrumento. Questo volea dire il motto : «Cose e non parole». Volea dire che la letteratura, stata trastullo d’immaginazione senza alcuna serietá di contenuto e divenuta perfino un semplice giuoco di frasi, dovea acquistare un contenuto, essere l’espressione diretta e naturale del pensiero e del sentimento, della mente e del cuore: onde nacque piú tardi il barbaro vocabolo «cormentalismo». Messa la sostanza nel contenuto, quell’ ideale della forma perfetta, gloria del Rinascimento e rimasto visibile nelle stesse opere della decadenza, come nel Pastor fido, nell’Adone, nel dramma di Metastasio, cesse il posto alla forma naturale, non convenzionale, non manifatturata, non tradizionale, non classica, ma nata col pensiero e sua espressione immediata. Perciò il Cesarotti, rispondendo al libro del conte Napione Sull’uso e su’ pregi della lingua italiana, sostenea nel suo Saggio sulla filosofia delle lingue che la lingua non è un fatto arbitrario e regolato unicamente dall’uso e dall’autoritá, ma che ha in sé la sua ragion d’essere; che la sua ragion d’essere è nel pensiero, e quella parola è migliore che meglio renda il pensiero, ancorché non sia toscana e non classica, e sia del dialetto o addirittura forestiera con inflessione italiana. Cosa era quel Saggio? Era l’emancipazione della lingua dall’autoritá e dall’uso in nome della filosofia o della ragione, come si volea in tutte le istituzioni sociali; era la ragione, il senso logico, che penetrava nella grammatica e nel vocabolario; era lo spirito moderno, che violava quelle forme consacrate e fossili, logore per lungo uso, e dava loro un’aria cosmopolitica, l’aria filosofica, a scapito del colore locale e