Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. II, 1962 – BEIC 1808914.djvu/54

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i corsari, atterra i mostri, uccide le streghe e debella 1’ inferno. Tutto questo è raccontato con un suono di tromba cosi romorosa, con un accento epico cosi caricato, che si ride di buona voglia a spese di Baldo, di Fracasso, di Cingar e degli altri cavalieri.

Ma in quest’allegra parodia penetra un’ intenzione ancora piú profonda : la satira delle opinioni, delle credenze, delle istituzioni, de’ costumi, delle forme religiose e sociali. Il medio evo ne’ suoi diversi aspetti è in fuga, frustato a sangue dal terribile frate, rifatto laico. Perché infine i mostri, le streghe e T inferno non sono altro che forme religiose e sociali : i vizi, le lascivie e i pregiudizi popolari. E come tutta questa dissoluzione non nasce da nuova fede o da nuova coscienza, ma da compiuta privazione di coscienza e di fede, la cavalleria, che in nome della giustizia e della virtú debella l’inferno, è essa medesima una parodia; e l’impressione ultima è una risata sopra tutti e sopra tutto. Qualche sforzo di un’aspirazione piú seria ci è : Leonardo, che muore per mantenere intatta la sua verginitá, è una bella immagine allegorica, perduta fra tante caricature. Hai una dissoluzione universale di tutte le idee e di tutte le credenze, nella sua forma piú cinica. Li dentro ci è la societá italiana còlta dal vero nella sua ultima espressione : coltura e arte assisa sulle rovine del medio evo, beffarda e vuota.

La lingua stessa è una parodia del latino e dell’ italiano, che si beffano a vicenda. Come i maccheroni vogliono essere ben conditi di cacio e di butirro, cosi la lingua maccaronica vuol essere ben mescolata. Spesso vi apparisce per terzo anche il dialetto locale, e si fa un intingolo saporitissimo. La lingua è in se stessa comica, perché quel grave latino epico, che intoppa tutt’a un tratto in una parola italiana stranamente latinizzata e talora tolta dal vernacolo, produce il riso. La parodia, che è nelle cose, scende nella lingua, la quale sembra un eroe con la maschera di Pulcinella, un Virgilio carnascialesco. Alione astigiano e qualche altro avevano giá dato esempio di questa lingua, recata a perfezione da Merlino. Egli ne sa tutt’ i segreti e la maneggia con un’audacia da padrone, con un tale sentimento di armonia, che par l’abbia giá bella e formata nell’orecchio.