Pagina:Dei Sepolcri (Bettoni 1808).djvu/78

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66 epistola

Sua più diletta laude, e apparir gode
Come limpido rio, che nulla ascendo,
Troppo forse talvolta umil serpeggia;
385E v’ha cui sembri, oltra il dover, profuso.
L’altro, colà, dove di pochi aggiunge
Lo intendere, e il sentir, troppo si piace.
Deh! perch’io pur con sì leggiadra immago,
Buon Pindemonte, ad abbellir non vaglio,
390Qual tu sapesti, l’amichevol biasmo?
Chè a lui medesmo reverenti e schiette
Ben si farian di rinnovarlo ardite
Pur le mie labbra; nè il vedrei lo sguardo,
Qual chi sdegnoso fastidisce, e spregia,
395Torcer da me, se al generoso petto
Così s’aprisse il mio parlar la via:
Sublime austero ingegno; a suo talento
Gracchi la turba: di sovran poeta
Debito serto avrai. Sol ti ricordi,
400Ch’uomo ad uomini parli; e foggiar gli altri
Su quel, che in tuo pensier tu ti creasti,
Più che umano modello, indarno speri.
E anco aggiugner vorrei: Perchè sì eccelso,
E amator sempre d’ogni eccelsa cosa,
405Delle umane speranze oltre alla tomba
Spinger il volo non curasti? Indarno
Mille di ciò colla feconda mente