Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/170

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Ma col sorgere del sole l’incanto svanì: i falchi passavano stridendo con le ali scintillanti come coltelli, l’Orthobene stese il suo profilo di città nuraghica di fronte ai baluardi bianchi di Oliena: e fra gli uni e gli altri apparve all'orizzonte la cattedrale di Nuoro.

Efix camminava col velo della febbre davanti agli occhi. Gli pareva d’esser morto e di andare, di andare come un’anima in pena che deve raggiungere ancora il suo destino eterno; di tanto in tanto però un senso di ribellione lo costringeva a fermarsi, a sedersi sul paracarro ed a guardare lontano. La strada in salita tra la valle e la montagna, fra roccie olivi e fichi d’India tutti d’uno stesso grigio, gli sembrava, sì, quella del suo calvario ma anche una strada che poteva condurre a un luogo di libertà. Ecco, pensava guardando il profilo dell’Orthobene, lassù è una città di granito, con castelli forti silenziosi; perchè non mi rifugio lassù, solo, e non mi nutrisco di erbe, di carne rubata, libero come i banditi?

Ma da un punto aperto della valle vide il Redentore sopra la roccia con la grande croce che pareva unisse il cielo azzurro alla terra grigia, e s’inginocchiò a testa bassa, vergognoso delle sue fantasticherie.


Giacinto era ad Oliena: sapeva del disastro e della morte di zia Ruth e aveva paura a