Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/206

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— Ma donna Noemi, che ha? Rifiuta?

— Rifiuto.

— Rifiuta? Ma perchè, donna Noemi mia?

— Perchè? Ma te lo sei dimenticato? Sono vecchia, Efix, e le vecchie non scherzano volentieri. Non parlarmene più.

— Questo solo mi dice?

— Questo solo ti dico.

Tacquero. Ella cuciva: egli aveva sollevato le ginocchia e si stringeva in mezzo le mani giunte. Gli pareva di sognare, non capiva. Finalmente alzò gli occhi e si guardò attorno. No, non sognava, tutto era vero; il cortile era pieno di sole e d’ombra: qualche filo di legno cadeva dal balcone come cadono le foglie dei pini in autunno; e al di là del muro si vedeva il monte bianco come di zucchero, e tutto era soave e tenero come al mattino quando egli era uscito dalla casa di don Predu. Gli pareva di sentire ancora le donne a sbattere i mobili; ma erano colpi sulla sua persona; sì, qualche cosa lo percoteva, sulla schiena, sulle spalle, sulle scapole e sui gomiti e sui ginocchi e sulle nocche delle dita. E donna Noemi era lì, pallida, che cuciva, cuciva, che gli pungeva l’anima col suo ago: e le rondini passavano incessantemente in giro, sopra le loro teste, come una ghirlanda mobile di fiori neri, di piccole croci nere. Le loro ombre correvano sul terreno come foglie spinte del vento: ed egli ricordò