Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/213

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Efix guardava come dal fondo di un pozzo quel punto alto lontano; ma d’improvviso gli parve che il raggio deviasse, piovesse su lui, illuminandolo. Tutto era chiaro, così. I suoi occhi oramai distinguevano tutto, gli errori scuri intorno, il centro luminoso, che era il castigo di Dio su lui.

E riprese la bisaccia, senza più parlare, e se ne andò.


Passando davanti alla casa di don Predu chiamò Stefana e le disse ch’era costretto a partire per affari suoi e che non sapeva quando sarebbe tornato.

— Di’ almeno dove vai.

— A Nuoro.


Per arrivare a Nuoro impiegò due giorni. Andava su, piano piano, a piccole tappe, buttandosi sull’orlo della strada quando era stanco. Chiudeva gli occhi, ma non dormiva: riaprendoli vedeva lo stradone giallognolo perdersi tra il verde e l’azzurro delle lontananze, su verso i monti del Nuorese, giù verso il mare della Baronia, e gli pareva di esser sempre vissuto così, sull’orlo d’una strada metà percorsa metà da percorrere: laggiù in fondo, aveva lasciato il luogo del suo delitto, lassù, verso i monti, era il luogo della penitenza.

Il tempo era bello; le valli eran già coperte