Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/227

Da Wikisource.

— 219 —

masta la sola pelle sulle ossa, con le palpebre livide abbassate, chiedeva, chiedeva movendo appena le labbra grigie sui grandi denti sporgenti, come dormisse e parlasse in sogno, indifferente al mondo esterno. L’altro, vecchio ma forte, col viso rosso cremis congestionato, tutta la persona agitata da un tremito che sembrava finto, aveva messo il cappello fra le sue gambe aperte e di tanto in tanto si curvava a guardarvi dentro le piccole monete.

Ma la sera cadeva rapida, grave di nuvole, e la gente se ne andava. Anche la donna dei confetti chiuse le sue cassette ancora piene e si mise a parlare sdegnosa coi mendicanti.

— Non valeva la pena di far tanta strada! Festa da niente, fratelli miei!

— Non si campa più, — disse il vecchio, e versò le monete in un fazzoletto e rimise il cappello in testa. Ma quando fu per alzarsi ricadde, come se i piedi gli scivolassero sul selciato dell’ingresso, e battè la testa al muro e le mani al suolo.

Al tintinnire delle monete contro la pietra l’altro mendicante sollevò il viso terreo spalancando gli occhi vitrei come sentisse un rumore minaccioso.

Il vecchio gemeva. La donna ed Efix s’erano precipitati su lui, ma non riuscirono a fargli tener sollevata la testa.

— Bisogna distenderlo, — disse la donna,