Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/260

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Libero! Ma aveva l’impressione fisica di tirarsi ancora addietro i compagni, e si dava pensiero di loro.

Camminò tutta la notte e tutto il giorno seguente, giù lungo la vallata dell’Isalle, finchè arrivò al mare. Là si gettò a terra, fra due macchie di filirea, e gli parve d’esser tornato al suo paese dopo aver compiuto il giro del mondo.

Ma nel sonno rivedeva il cieco, curvo su sè stesso, con le labbra livide semiaperte sui denti ferini, e gli sembrava che lo deridesse e lo compiangesse.

— Tu credi d’essere tornato e di riposarti. Vedrai, Efix; adesso comincia davvero il tuo cammino.


A misura che s’avvicinava al poderetto, risalendo lo stradone, sentiva un lamento di fisarmonica che gli pareva un’illusione delle sue orecchie abituate ai suoni delle feste.

Tante cose lontane gli tornavano in mente: e tutte le foglie si agitavano intorno per salutarlo. Ecco la siepe, ecco il fiume, la collina, la capanna. Egli non era commosso, ma quel lamento dolce, velato, che pareva salire dalla quiete dell’acqua verdastra, lo attirava come un richiamo.

Entrò, sollevò gli occhi e subito si accorse che il poderetto era mal coltivato. Pareva un luogo da cui fosse mancato il padrone: gli al-