Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/289

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La cucina si empiva di fantasmi, e l’essere terribile che non cessava di colpirlo gli gridò all’orecchio:

— Confessati! Confessati!

Anche donna Ester si inginocchiò davanti alla stuoia mormorando:

— Efix, anima mia, vuoi che chiamiamo prete Paskale? Ti leggerà il Vangelo e questo ti solleverà....

Ma Efix la guardava fisso, con gli occhi vitrei nel viso nero brillante di goccie di sudore; il terrore della fine lo soffocava, aveva paura che l’anima gli fuggisse d’improvviso dal corpo, come era fuggito lui dalla casa dei suoi padroni, e scacciata dal mondo dei giusti si mettesse a vagabondare inquieta e dannata coi fantasmi della valle; eppure rispose di no, di no. Non voleva il prete: più che della morte e della sua dannazione aveva paura di rivelare il suo segreto.

Ed ecco don Predu che arriva, siede accanto alla stuoia e comincia a scherzare. È allegro, don Predu; s’è ingrassato di nuovo e la catena d’oro non pende più tanto sul suo panciotto nero.

— Perchè sei tornato qui, babbeo? Se venivi a casa mia ci stavi male? Sei come il gatto che ritorna anche se portato via dentro il sacco. Su, andiamo; ti metterò nel letto di Stefana.

Anche Noemi, curva con una scodella fu-