Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/296

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rire, — pensava Efix sotto il panno; ma aveva come l’impressione di non potersene andare, di non poter uscire da quel cerchio di muri che lo serrava.

Don Predu rimase tutto il giorno lì, invitato a pranzo dalle cugine: parlava, rideva, si beffava nuovamente del prossimo; ogni tanto però taceva, anche perchè Noemi pareva curarsi poco di lui. Un silenzio grave circondava allora Efix, ed egli capiva d’esser d’ingombro, di dar peso e soggezione alle donne e allo stesso don Predu.

Bisognava andarsene, lasciare liberi i fidanzati di amarsi e scherzare senza quell’immagine della morte davanti a loro.

E d’un tratto, lì sotto al buio, sotto il panno, gli parve di capire perchè non poteva andarsene. Era qualcosa che lo tratteneva ancora nella casa dei padroni, come un conto non aggiustato, che bisognava aggiustare.

E quando donna Ester si chinò su lui, credendolo addormentato, e sollevò lievemente il lembo del panno, lo vide con gli occhi spalancati, col viso rosso, le labbra tremanti.

— Ebbene, Efix, che hai?

Egli le accennò con le palpebre di accostarsi di più, e le mormorò sul viso con un filo di voce:

— Donna Ester mia, di grazia, se vuole mi chiami prete Paskale.