Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/299

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cati che lasciavano cadere i loro chicchi di perla.

Ma la gente al di là del muricciuolo, non lo lasciava in pace a contemplare tanto bene; egli non si volgeva più, e solo un giorno una mano che si posava sulla sua spalla e una voce che lo chiamava piano piano all’orecchio lo fecero sobbalzare. — Efix! Efix!

Il viso di Giacinto, gli occhi dolci umidi di pietà stavano sopra di lui: fra tante figure morte quella gli parve ancora la sola viva, tanto viva che le sue mani calde avevano quasi la potenza di tirarlo su, rimetterlo dritto nel mondo di qua.

Ma fu un momento: ecco che si velava anch’essa, perdeva forza, ritornava fantasma; ed Efix provò dolore, come fosse Giacinto a morire, non lui.

— Efix, su, su! Che fai? Non mi dici niente? Sono venuto per te, sai. Sono qui. Non volevano lasciarmi entrare ed ho saltato il muro. Su, guardami!

Egli lo guardava, ma non ne vedeva più gli occhi.

— Zia Noemi è scappata come di volo, vedendomi! Proprio non mi perdonerà mai! Che cosa ti ha raccontato, dimmi? Che non vuol più vedermi, che ha giurato di non pronunziare più il mio nome? Lo so: ma non importa. Son contento che si sposi; sai cos’era accaduto, l’ultima volta che venni? Io