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il laccio ai puledri indomiti, e provò. Il laccio prese la cima dell’albero come una testa scapigliata e selvaggia. Egli s’attaccò alla corda e riuscì nel suo intento. La luna illuminava il cortile; dall’albero era facile scendere, penetrare nella cucina, sorprendere Oja; ma egli ebbe paura di spaventarla e preferì aspettare.

I giorni passavano. A poco a poco egli si sentiva preso dal desiderio di Oja e dimenticava i suoi calcoli per pensare al modo con cui ella lo avrebbe accolto. La vigilia di San Giovanni andò a picchiare alla porta di ziu Pasquale.

— Il padrone è tornato?

— No; verrà domani.

— Oja, apri: devo parlarti di lui.

— Puoi parlare stando lì.

— Senti: dirai al tuo padrone che io voglio sposarti. Non andartene! Se tu non mi apri la porta, entrerò per la finestra.

Ella intanto la chiuse. Egli andò a lamentarsi coi vecchioni, che oramai conoscevano i suoi progetti e si burlavano di lui.

— Puoi arrampicarti alla torre e baciare l’orologio, prima di baciare quella lì.

Egli sospirò, appoggiandosi come stanco al tronco dell’olmo. Tutti erano lieti intorno a lui: la folla si adunava nello spiazzo e prepa-