Vai al contenuto

Pagina:Deledda - Cattive compagnie, Milano, Treves, 1921.djvu/149

Da Wikisource.

Il sogno del pastore 139


venduto le sue greggie. L’uomo delle montagne guarda quell’occhio di fuoco e pensa alla bella vita che potrà menare fra un anno, alle canzoni estemporanee, ai bicchierini d’acquavite, al servo che guiderà le sue greggie.

Ebbene, sì, egli andrà. È tempo di farla finita con questa vita nomade, è tempo di vivere in famiglia, di passare il Natale in paese.

Egli andrà; egli va; egli cammina silenzioso, senza lasciar traccie, come la volpe: guada il fiume, è presso la capanna del pastore, è sull’apertura della capanna. Il pastore dorme, con la testa appoggiata ad una pietra; sotto la pietra ci deve essere, c’è la borsa. Il nostro pastore ha un momento di esitazione: poi entra, si piega sul dormiente e lo soffoca; scosta il cadavere e solleva la pietra.

Orrore! Sotto la pietra, invece della borsa, c’è un mondo di vermi bianchi, schifosi, brulicanti sull’umida terra; i loro piccoli occhi maligni hanno uno strano bagliore verde.

Il pastore impallidisce, trema, fruga per tutta la capanna; la borsa non c’è, il suo delitto è stato inutile. Allora egli fugge attraverso la pianura, ma ha sempre davanti agli occhi la visione di quei vermi bianchi, brulicanti, con gli occhi verdi maligni.

Dopo lungo errare torna alla sua capanna;