Pagina:Deledda - Cattive compagnie, Milano, Treves, 1921.djvu/197

Da Wikisource.

La medicina 187


monica, e una voce che cantava con infinita tristezza una canzone giocosa:

Da chi su mustaròlu appo toccadu,
Tenzo a muzère mea filonzana....
Issa non biet abba’ e funtana
Si non binu nieddu isseperadu.1

Il vecchio aveva sonno, era stanco e triste. Quella musica monotona gli diede un senso di nostalgia, gli ricordò la casa lontana, melanconica, la sua cara malata.

E gli vennero le lagrime agli occhi al pensare che egli così vecchio, così disgraziato, era partito della sua casa con tanta tristezza e spinto dalla disperazione, era capitato in quella festa come uno che vuole divertirsi.

Così si addormentò, con due lagrime tremolanti negli angoli degli occhi.

*

.... Sognava? No, era proprio la voce di Liedda, la finta mendicante.

— Dottore mio, per l'anima de’ suoi morti, non dica niente. Missignoria,2 non mi rovini:

  1. Dopo che ho provato il mosto, - ho mia moglie filatrice, - che non beve più acqua di fonte, - ma solo vino nero scelto.
  2. Mia Signoria.