Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/137

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Ma dopo era venuto il sogno idilliaco della fontana di Fonni, il bacio, l’abbandono di Margherita; e durante la sera della rappresentazione, il profumo dei capelli di lei, lo splendore dei suoi occhi, il calore che pareva emanasse dalla sua persona fiorente gli avevano dato ebbrezze ineffabili.

Ed ora soffriva al pensiero che ella potesse diventare d’altri; e nel sonno febbrile si affannava, sognando, a scriverle una lettera disperata, alla quale univa un sonetto, uno dei molti sonetti dialettali che egli aveva giù composto per lei.

Si svegliò, s’alzò ed aprì la finestra. L’alba gli parve vicina; il cielo era limpido, sopra una guglia nera dell’Orthobene tremolava una stella rossastra, simile ad una fiammella su un candelabro di pietra; i galli cantavano, rispondendosi l’un l’altro con una gara di gridi rauchi, e parevano indispettiti reciprocamente di ciò che gridavano e tutti contro la luce che non arrivava. Anania guardava il cielo e sbadigliava: ad un tratto un brivido di freddo lo investì dai piedi alla testa. Oh, Dio, che accadeva in lui? Gli pareva che qualche cosa volesse staccargli dall’anima, restare sotto quel cielo, davanti al monte selvaggio le cui creste servivano da candelabri alle stelle. Come il viandante oppresso da un carico troppo grave vuol liberarsene in parte onde poter continuare la sua strada, così egli sentiva il bisogno di lasciare un po’ del suo segreto a Margherita. Chiu-