Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/15

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deva perchè aveva bisogno di credere e perchè Anania l’aveva abituata a ritener vere le cose più inverosimili, suggestionato egli stesso dalle sue fantasie. Così, verso i primi di giugno, zappando in un orto del padrone, egli trovò un grosso anello di metallo rossiccio e lo credette d’oro.

— Qui ci deve essere certamente un tesoro, — pensò, e subito andò a raccontare le sue nuove speranze ad Olì.

La primavera regnava nella campagna selvaggia; il fiume azzurrognolo rifletteva i fiori del sambuco, i narcisi esalavano voluttuose fragranze; nelle notti rischiarate dalla luna o dalla via lattea, tiepide e silenti, pareva che nell’aria ondeggiasse un filtro inebbriante.

Olì vagava qua e là, con gli occhi velati di passione; nei lunghi crepuscoli luminosi e nei meriggi abbaglianti, quando le montagne lontane si confondevano col cielo, ella seguiva con uno sguardo triste i fratellini seminudi, neri come idoletti di bronzo, e mentre essi animavano il paesaggio con le loro grida di uccelli selvatici, ella pensava al giorno in cui avrebbe dovuto abbandonarli per partire con Anania.

Ella aveva veduto l’anello ritrovato dal giovine, e sperava e aspettava, col sangue arso dai veleni della primavera.