Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/191

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dea fissa qualunque, deve liberarsene secondandola.

— Tu forse hai ragione, — disse Anania, pensieroso. E non parlò più finché non arrivarono all’angolo di Via Agostino Depretis. Allora disse, svoltando strada: — Voglio prendere.... mi hanno incaricato di prendere l’indirizzo di una persona.... Devo andare in Questura.

Il compagno lo seguì, curioso.

— Chi è questa persona? Chi ti ha incaricato? È del tuo paese?

Ma Anania non si spiegava. Arrivati davanti a Santa Maria Maggiore il Daga dichiarò che non sarebbe andato oltre.

— Allora aspettami qui, — disse Anania, senza fermarsi, — ti dirò poi....

Messo in curiosità il Daga lo seguì per un tratto, poi lo aspettò sulla gradinata della chiesa.

— Il dado è gettato? — chiese con enfasi, quando Anania ricomparve. Ma nonostante le sue domande e i suoi scherzi non riuscì a sapere che cosa il suo compagno era andato a fare in Questura. Appoggiato al muro Anania guardava l’orizzonte e ricordava la sera in cui, bambino, era salito sulle falde del Gennargentu ed aveva veduto un pauroso cielo tutto rosso, animato da spiriti invisibili.

Anche adesso sentiva un mistero aleggiargli intorno, e la città gli sembrava una foresta di pietra attraversata da fiumi pericolosi, e sentiva paura.