Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/223

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— Lasciami, — ella disse, — peso troppo; sono troppo grassa..., — Sei leggera come una piuma, — egli affermò. — Ma è dunque vero che ti ho con me? Ah, mi pare un sogno! Quante volte ho sognato questo momento, che mi pareva non dovesse giungere più! Ed ora eccoci assieme, uniti, uniti, capisci, uniti! Mi pare d’impazzire. Ma sei davvero tu, Margherita? ma è proprio vero che ti ho qui, sul mio cuore? Parla, dimmi qualche cosa, altrimenti mi par di sognare.

— Tocca a te raccontare. Io ti scrissi tutto, tutto; parla tu, Nino; sai parlare così bene tu! Raccontami di Roma; parla tu, io non so parlare.... — ella mormorò, turbata.

— No, invece! no, tu sai parlare benissimo. Tu hai una voce così dolce! Io non ho mai sentito una donna parlare come parli tu....

— Non dir bugie!...

— Ti giuro che non mentisco. Perchè dovrei mentire? Tu sei la più bella, tu sei la più gentile, la più dolce tra le fanciulle. Se tu sapessi come pensavo a te quando le mie padroncine, a Roma, nei primi tempi, si buttavano addosso a me ed a Battista Daga! Mi pareva d’essere accanto a creature appestate, e pensavo a te come a una santa, soave, pura, fresca e bella.

— Ma anche io, adesso....

— Non bestemmiare, Margherita, — egli proruppe. — Noi siamo sposi: non è dunque vero che siamo sposi? Dimmi di sì.