Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/227

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morte gli aveva solcato l’anima come il guizzo d’una folgore. Sì: il dolore e la gioia si rassomigliano: tutti e due bruciano.

Ma mentre si dirigeva a casa sua sotto gli ultimi spruzzi di pioggia, egli pensò: — Come sono vile! Mi rallegro della sventura del mio benefattore. Che cosa lurida è il cuore umano!

L’indomani mattina per tempo scrisse a Margherita esponendole molti progetti, uno più eroico dell’altro. Voleva dare lezioni per proseguire gli studi senza essere oltre di peso al suo benefattore; voleva presentarsi al signor Carboni per fargli la domanda di matrimonio; voleva infine far capire alla famiglia di Margherita che egli sarebbe stato il suo conforto ed il suo orgoglio.

Mentre finiva di scrivere la lettera, davanti alla finestra aperta donde penetrava la fragranza delle campagne rinfrescate dalla pioggia notturna, sentì alle sue spalle uno scoppio di riso represso. Nanna, lacera e tentennante, con gli occhi pieni di lagrime e l’orribile bocca livida spalancata al riso, s’avanzava, con una tazza in mano.

— Buon giorno, Nanna, come va? Sei viva ancora?

— Buon giorno alla Vossignoria. Ecco che non mi è riuscito di sorprenderla! Ho chiesto in grazia a zia Tatàna di portarle il caffè. Eccolo qui. Ho le mani pulite, Vossignoria. Oh, che consolazione, che consolazione!