Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/23

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si battono la testa al muro, se non hanno altro da fare?

— Tu non capisci, figlia, — disse la vedova, triste e fiera. — È il destino che vuole così.

Ora ti racconterò perchè mio marito si fece bandito.

Ella disse si fece con una certa fierezza, non priva di vanità.

— Sì, raccontate, — rispose Olì, con un lieve brivido per le spalle.

L’ombra addensavasi, il vento urlava sempre più forte, con un continuo rombo di tuono: pareva di essere in una foresta sconvolta dall’uragano, e le parole e la figura cadaverica della vedova, in quell’ambiente nero, illuminato solo a sprazzi dalla fiamma lividignola del misero fuoco, davano ad Olì una infantile voluttà di terrore. Le pareva di assistere ad una di quelle paurose fiabe che Anania aveva narrato ai suoi fratellini: ed ella, ella stessa, con la sua miseria infinita faceva parte della triste storiella.

La vedova raccontò: — Eravamo sposi da pochi mesi; eravamo benestanti, sorella cara: avevamo frumento, patate, castagne, uva secca, terre, case, cavallo e cane. Mio marito era proprietario; spesso non aveva che fare e s’annoiava. Allora diceva: « Voglio diventar negoziante; così ozioso non posso vivere, perchè sono sano, forte, abile, e mentre sto in ozio mi vengono le cattive idee». Però non avevamo capitali abbastanza perchè egli potesse fare il negoziante. Allora un suo amico