Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/234

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tuto, stendendo il braccio, sfiorare la luna o stringere nel pugno il canto dei grilli...

Ma poche parole pronunziate da Margherita gli segnarono nuovamente i confini tra il sogno e la realtà.

— Cosa dirai a mio padre? — ella chiese, sempre un po’ canzonandolo. — Dimmi dunque che cosa gli dirai. «Signor padrino.... io... io e.... e sua figlia.... sua figlia Margherita... fa.... facciamo una.... una cosa...»

Egli arrossì: capì che non avrebbe mai avuto il coraggio di presentarsi al padrino per rivelargli il suo amore.

— Io non potrò mai.... — confessò subito. — Gli scriverò.

— Oh, questo poi no! — disse Margherita, facendosi seria. — Bisogna assolutamente parlargli: egli si piegherà di più. Se non puoi tu, mandagli qualcuno.

— Ma chi?

Margherita disse timidamente: — Tua madre.

Egli capì che ella alludeva a zia Tatàna, ma il suo pensiero corse all’altra e gli parve che anche Margherita ci pensasse. L’ombra lo riavvolse: ah, sì, la realtà ed il sogno erano ben divisi da terribili confini: un vuoto, eguale a quello che divide la terra dal sole, li separava.

— Tuttavia.... — egli pensò, — se potessi in questo momento parlare! Questo è l’attimo: se me lo lascio sfuggire forse non lo ritroverò mai più. Il vuoto si può varcare...