Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/256

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Zia Grathia era intenta a rivoltare una piccola frittata, e non rispose.

— Ella sa qualche cosa! — pensò Anania, turbandosi. Ma dopo un istante di silenzio zia Grathia osservò: — Se niente ne sai tu, come vuoi che ne sappia qualche cosa io? E adesso, figlio, mettiti qui, davanti a questa sedia, ed accetta il buon cuore.

Anania sedette davanti al canestro che la vedova aveva deposto sopra una sedia, e cominciò a mangiare.

— No, — disse, confidandosi con la vecchia come non s’era mai potuto confidare con nessuno, — per lungo tempo io non seppi nulla di lei. Ora però credo di essere sulle sue traccie. Dopo che mi ebbe abbandonato ella partì dalla Sardegna, ed un uomo la vide a Roma, vestita da signora.

— Ma la vide davvero? — chiese vivacemente zia Grathia. — Le parlò?

— Altro che le parlò! — rispose amaramente Anania. — Egli disse d’aver passato qualche ora con lei. Dopo non si seppe più nulla; ma io, mesi fa, la feci ricercare dalla Questura e venni a sapere che ella vive a Roma, sotto un falso nome. Però si è emendata, sì, si è emendata, e adesso vive onestamente lavorando.

Zia Grathia era venuta a porsi davanti alla sedia, ed a misura che Anania parlava ella spalancava gli occhietti foschi, e si curvava e trasaliva, e apriva le mani come per raccogliere le parole di lui.