Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/271

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caschi l’universo. Essi mi scacceranno come si scaccia una bestia immonda; io non mi illudo. Allora io cercherò un impiego, e lo troverò bene, e prenderò con me la disgraziata, e vivremo assieme di miseria, ma pagherò i miei debiti, e sarò un uomo. Un uomo! — pensò amaramente. — O un cadavere vivente!

Gli pareva d’esser calmo, freddo, già morto alla gioia di vivere; ma in fondo al cuore sentiva una crudele ebbrezza d’orgoglio, una smania di stolto combattimento contro la fatalità, contro la società e contro sè stesso.

— L’ho voluto io, dopo tutto! — pensava. — Sapevo bene che doveva finir così: mi sono lasciato trascinare dalla fatalità. Guai a me! Devo espiare io: espierò.

Questa illusione di coraggio lo sostenne tutta la notte, ed anche il giorno dopo, durante l’ascensione al Gennargentu. La giornata era triste, annuvolata e nebbiosa, ma senza vento: egli volle partire egualmente, con la speranza, diceva, che il tempo si rasserenasse, ma in realtà per cominciare a dar a sè stesso una prova di fermezza, di coraggio e di noncuranza.

Che gli importava oramai delle montagne, degli orizzonti, del mondo intero? Ma egli voleva fare ciò che aveva stabilito di fare. Solo un momento, prima della partenza, esitò.

— E se ella, avvertita della mia presenza, non venisse e fuggisse ancora? E io non prendo forse del tempo perchè ciò avvenga?

La vedova lo rassicurò impegnandosi a far