Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/41

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Olì prese il fagotto, strinse nella sua la manina del fanciullo e lo condusse in cucina dove gli diede una scodellina di caffè e un pezzo di pane. Poi gli gettò sulle spalle un sacchetto logoro e lo trascinò fuori.

Albeggiava.

Faceva un freddo intensissimo; la nebbia riempiva la valle, copriva l’immensa chiostra dei monti: solo qualche alta cresta nevosa emergeva argentea simile al profilo di una nuvola bianca, ed il monte Spada appariva or sì or no come un enorme blocco di bronzo tra il velo mobile della nebbia.

Anania e la madre attraversarono le viuzze deserte, passarono davanti al grande panorama occidentale sommerso nella nebbia, cominciarono a scendere lo stradale grigio e umido che si sprofondava giù giù, in una lontananza piena di mistero. Anania si sentì battere il cuoricino: quella strada grigia, vigilata dalle ultime case di Fonni i cui tetti di scheggie parevano grandi ali nerastre spennacchiate, quella strada che scendeva continuamente verso un abisso ignoto colmo di nebbia, era la strada per Nuoro.

Madre e figlio camminavano frettolosi: spesso il bambino doveva correre, ma non si stancava. Era abituato a camminare, ed a misura che scendeva si sentiva più agile, caldo, vispo come un uccello. Più volte chiese: — Dove andiamo, mamma mia?

— A cogliere castagne, — diss'ella una volta, e poi: — in campagna: lo vedrai.