Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/97

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Egli naturalmente capì che questi saluti erano per zia Tatàna: e subito la maestra, che lo lasciò per mischiarsi alla folla dei bambini schiamazzanti, gli diventò cara.

— Ma che modo è questo? — ella gridava agli scolaretti afferrandoli e fermandoli. — A due a due! In riga!

A due a due, in riga, essi percossero un buon tratto di strada: dopo furono lasciati liberi, e si dispersero per lo spiazzo come uccellini scappati dalla rete, correndo e girando. Anche dalle altre classi uscivano in ordine gli alunni via via più adulti e più serii. Bustianeddu piombò sopra Anania, battendogli i quaderni sul capo, e lo trasse con sè.

— Ti piace, dunque?

— Sì — rispose Anania, — ma ho fame. Non finiva mai.

— Oh che credevi fosse un minuto? Aspetta, e vedrai! Ti calerà il moccio e la bava, ti verrà la fame e la sete. Oh, oh, guarda Margherita Carboni.

La bimba, con le calze violette, la sciarpa rossa, i polsini di lana verde, s’avanzava fra un nugolo di scolarette, — uscite dalla scuola dopo i maschi, — e passò davanti ai due amici senza degnarsi di guardarli. Dopo il gruppo che la circondava venivano altri gruppi di ragazzette, povere e ricche, paesane e borghesi, alcune già alte e civettuole.

I ragazzi di quarta e di quinta si fermavano a guardarle e ridevano fra loro.