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130 padrona e servi


«Il mondo lo conosco, ed ogni cosa che succede doveva succedere. Io sono poeta e filosofo e nulla mi sorprende. La vita è una altalena: oggi in alto, domani in basso, posdomani di nuovo in alto. Non disperarti, giglio d’oro. Può darsi che mio zio Agostino, che ha cacciato via di casa e diseredato sua moglie, si ricordi di noi. Allora ce ne andremo in riva al mare, guarderemo le barche lontane e ci stringeremo la mano come sposi. Del resto anche adesso siamo felici: la pace e l’amore regnano nella nostra dimora, e tu, cedro del Libano, Venus hermosa, sei la mia ricchezza e la mia regina....»

Una mattina d’inverno un carrettiere battè sulla spalla d’Elia la mano che sembrava di pietra:

— Corri, uomo! Sono stato a Terranova con un carico di scorza ed ho veduto tuo zio Agostino, lo spedizioniere, gravemente malato....

Elia s’alzò, composto, passandosi in segno di dolore la mano sui capelli già grigi.

— Vado a partecipare la triste notizia a mia moglie.

La moglie non parve commuoversi troppo, anzi non si alzò neppure dallo scalino della porta ove sedeva cercando di scaldarsi al sole. Era vestita da borghese, era calzata, pettinata alla moda; ma appunto il vestito leggero, sfrangiato, le scarpe rotte, i capelli radi che incorniciavano come d’un’aureola nera il suo viso bianchissimo di anemica, rivelavano meglio la sua miseria. Gli occhioni