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al servizio del re 143


vere, dopo aver ricorso a tutti i mezzi per non annoiarsi, i detenuti cominciarono a litigare: erano uomini sani e forti, abituati all’immensità delle tancas, alle ombre del bosco e alla luce accecante delle pianure coperte di stoppia: non potevano adattarsi alla penombra grigia e sonnolenta della camerata lunga e bassa come un andito, puzzolente, calda, coi muri pieni d’insetti e di scritture strane. Specialmente verso sera, quando dalle inferriate pioveva il bagliore roseo del crepuscolo estivo, essi s’agitavano e imprecavano. Un giorno però uno di loro fu chiamato nell’ufficio del Direttore. La speranza illuminò la loro anima come il chiarore del crepuscolo illuminava il carcere.

— Per un colloquio non può essere stato chiamato, — disse il vecchio prepotente, che era già stato altre volte al «servizio del re». — Non possiamo ottenere colloqui, finchè non è esaurita l’istruttoria.

Che sarà, che non sarà? Finalmente il detenuto rientrò. Rideva, ma appariva anche un po’ mortificato e sorpreso.

— Ci son là due signori, — raccontò, — uno dei quali, un omuncolo rosso e brutto come la volpe, scrive, e l’altro, lungo e tanto magro che sembra un affamato, m’ha rivolto cento domande, m’ha spogliato, mi ha misurato la fronte, le guancie, il naso....

— Che cosa ti ha domandato?

— Se mio padre e mia madre erano sani, se da ragazzo lavoravo, se....