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la festa del cristo 237


D’improvviso il tempo cambiò. Prete Filìa sentiva i pellegrini, che eran partiti pregando, bisbigliare e le donne sospirare; ma continuava a guardare davanti a sè, nel vuoto dell’orizzonte riempito dal caos delle nuvole, e gli sembrava che il rumore del vento, quello del torrente e del passo dei cavalli fosse coperto dallo scalpitìo del puledro di Istevene. Mormorò:

— Cristo, Dio, aiuta i peccatori.

A un tratto un grido di terrore si alzò dalla fila delle donne. Allora si volse e vide che il puledro aveva trascinato Istevene giù per la china dirupata sotto il sentiero. Rosso, infuriato, il giovane stringeva con le sue ginocchia poderose il fiero animale, e imprecando e colpendogli col pugno la testa voltata sul collo, lo costringeva a tornar su.

Gli uomini gridarono:

— Dove l’hai comprato questo gioiello, Istevene Sole? Pare il diavolo. È come te!

La fila fu ricomposta, si riprese il cammino, ma le donne erano inquiete e i cavalli fremevano eccitati dall’esempio del loro compagno straniero che voleva sorpassarli e tirava calci alle rocce. Le rocce sprizzavan scintille.

— La giustizia ti domi, — gridava Istevene al puledro. — E ti ho pagato quaranta scudi belli come quaranta fratelli!

Il vecchio prete guardava avanti a sè e pregava.

— Cristo, Dio, aiuta i peccatori....

Verso il tramonto il tempo si fece orribile.