Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/126

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esprimeva con le sopracciglia sollevate un’ammirazione estatica.

— Tu, Columba mia? Tu non hai bisogno di aprir bocca. Tua madre, nel farti assieme con tua sorella disse: a Banna la lingua, a Columba gli occhi. I tuoi occhi parlano, e basta guardarti per capire chi sei.

Eppure non tutti mi capiscono! — ella disse abbassando le palpebre quasi paurosa che la donna leggesse davvero nei suoi occhi.

Ma zia Martina La fissava sorbendo lentamente il suo caffè.

— Ti voglio raccontare una cosa, giacchè siamo sole, e voglio raccontartela perchè sei di cattivo umore e ti divertirà. Ascoltami. Mia figlia Simona....

— Come sta Simona? — interruppe Columba deponendo il vassoio sopra il forno.

Ma al ricordo della figlia afflitta da un’incurabile malattia di occhi la donna abbassò le pelpebre con espressione di rassegnato dolore.

— Non ci vede quasi più; sia fatta la volontà di Dio! Dunque, ieri Simona stava sola a casa quando eccoti chi viene, indovina? No, tu non puoi indovinarlo, colomba mia, perchè tu non ti occupi dei fatti del paese e non sai neppure chi va e chi viene. Dunque devi sapere che questi giorni scorsi è arrivata la sorella del Commissario, per veder il paese e divertirsi. È una ragazza piccola ma ben fatta, che cammina saltellando come una capretta. Ha il vestito stretto come un sacco e un cappello grande come un canestro: buono per il sole d’estate, non dico, ma non per adesso che fa quasi ancora freddo. Bene, s’userà così nelle città, ma i ragazzi qui sono maleducati, non nego, e quando la vedono gridano: oh, oh, s’è messo un canestrone in testa....

— L’ho veduta, — disse Columba per tagliar