Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/129

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te la guardava con inquietudine, forse indovinando che zia Martina le aveva riferito i pettegolezzi del paese.

— Zia Martina mi diceva che Giuseppa Fiore ha criticato i miei vestiti, non adatti per una ragazza che sposa un vedovo, — disse curvandosi per prender la tazza dal pavimento.

Al nome di Giuseppa Fiore Banna fremette come una puledra frustata: i bottoni d’argento con catenelle che pendevano dal suo corsetto tintinnavano come una sonagliera.

— Ohi, Giuseppa Fiore! S’ella pensasse ai suoi malanni farebbe meglio. Lascia ch’io la veda e le risponderò io....

— Anima mia! — gridò allora la donna spaventata. — Tu non le dirai niente: tu non vorrai rovinarmi, tu non vorrai farmi pentire di venir qui come in una chiesa e di parlare con voi come con Cristo! Giuseppa Fiore è vendicativa.

— Alla forca! Che può farci? Ella vive solo con la speranza di farci del male; ma ella non può farci neanche questo! — disse Banna sputando sulla cenere.

— Voi siete potenti; sì: ma io? Ella ha in casa il Commissario e può tutto contro i poveretti. Può far del male a me, non a voi. Anima mia, non uccidermi.

— E voi fatele un incantesimo che le leghi la lingua e i piedi!

La donna si alzò, si mise la corbula vuota sulla testa e si riavvolse nella gonna.

— Banna, anima mia, se potessi far gli incantesimi non avrei le dita bucate e ribucate dall’ago.

— Andiamo a vedere i vestiti; so che persino la sorella del Commissario ha voluto vederli, tanto son fatti bene, — disse Banna avviandosi con la sua andatura fiera.