Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/142

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ba, che s’incaricava di manipolare il formaggio principale rendita della famiglia, appena entrò nella dispensa guardò nella tinozza, accomodò uno dei ceppi, fece un giro anche nei camerini attigui per assicurarsi che tutto era in ordine. La luce moriva nel vano del finestrino e nella penombra della lunghissima stanza che pareva la stiva d’un bastimento gli oggetti prendevano aspetti fantastici; qualche paiuolo di rame rosseggiava fra le olle nere dell’olio, un sacco di farina d’orzo sorgeva bianco, in mezzo a tutto quel nero, come un fantasma panciuto. Columba — che per paura di attaccar fuoco girava alla sera senza lume per tutta la casa trovando a tastoni ogni oggetto — prese dal canestro il pane rotondo sottile, e all’improvviso ricordò la storia di Margherita. Ella non credeva agli spiriti e non aveva paura dei morti nè dei vivi: eppure quella sera provava una certa inquietudine: i paiuoli rossi, il sacco bianco, le olle nere, il luccichio metallico della salamoia, tutte le pareva alquanto strano. E il suo cuore ogni tanto batteva forte senza ragione.

Uscì in fretta dalla dispensa, e rientrata in cucina sentì che le donnicciuole nella strada chiacchieravano strillando più del solito.

— Mi possiate veder cieca se non è vero quello che dico io. L’ho veduto con questi occhi: è già tornato.

— Ma se i trent’anni scadono il giorno di San Francesco? Egli tornerà in paese proprio quel giorno, e i parenti e gli amici gli andranno incontro come in processione.

— Egli è già tornato, vi dico; vuol dire che se i trent’anni precisi non sono passati, per qualche settimana la giustizia non lo molesterà.

Columba capì che parlavano di ziu Innassiu Arras e si affacciò alla porta per ascoltar me-