Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/209

Da Wikisource.

— 199 —

preziosi, intrecciò le piccole mani e le scosse, disperata e impotente davanti all’angoscia di Jorgj. Ma ebbe un’idea: ricordò che un suo adoratore una volta le aveva detto che l’uomo infelice è come un bambino; basta spesso una carezza e una promessa per confortarlo. Sciolse le mani e ne posò una sulla testa di Jorgj.

— Signor Giorgio! Si faccia coraggio! L’aiuteremo....

Il contatto della mimo di lei diede quasi una convulsione al malato; furono gemiti, singulti, parole indistinte: l’ascesso d’ira, di dolore e di umiliazione che da mesi e mesi era andato formandosi entro il cuore di lui parve scoppiare e sciogliersi in lagrime. Poi ad un tratto egli cessò di piangere e tacque immobile ma col viso ancora nascosto, più che mai vergognoso della sua debolezza.

— Adesso basta, — disse Mariana, tirandogli dolcemente la manica della camicia.

Il viso di lui apparve deformato dal pianto, ma con gli occhi tra le palpebre rosse limpidi e vivi come due stelle sul cielo ancora torbido dopo l’uragano.

Ella si rimise a sedere e appoggiò il gomito al tavolinetto.

— Così va bene; adesso possiamo chiacchierare con calma. Prenda qualche cosa. Il suo servetto non viene?

— Verrà sul tardi; no, non ho bisogno di nulla, grazie.

— Quel ragazzo ha abbastanza forza per assisterla? È intelligente, vero?

— Oh. molto intelligente, ma è anche un gran chiacchierone.

— Del resto son tutti intelligenti, qui! E il paese è così pittoresco! Dalla casa dove sto io....

— Lei sta da zia Giuseppa Fiore, — interruppe