Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/217

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pareva prendesse gusto a far apparire le membra e il viso del malato in tutta, la loro desolazione. Come erano scarne e rimpicciolite quelle povere membra, e quel viso diafano ove solo gli occhi vivevano com’era triste nella luce e nella gioia che lo irradiava!

Mariana provò di nuovo un senso di pietà e di terrore. Pensò:

— Adesso me ne vado: è tempo, — e guardando lo sfondo verde e azzurro della porticina trasalì di gioia al pensiero che poteva andarsene: le pareva di dover da un momento all’altro volare come l’allodola, scappar via per la porta luminosa: ma gli occhi di Jorgj erano pieni di tenerezza e di trepidazione come quelli di un bimbo che interroga, che confida e nello stesso tempo ha paura.

«Che farà quando io me ne andrò? — si domandava Mariana.

— Non parli più, lei! — gli impose. — E stanco. Io resterò un altro momento, poi me ne andrò; l’ho stancata e non le ho detto che sciocchezze. Ma adesso le racconterò un po’ della mia vita.

Aprì la borsa, si guardò nello specchietto che c’era dentro, trasse una caramella e gliela diede. Pareva incerta se metter o no dentro il taccuino: finalmente si decise; chiuse la borsa e lasciò il taccuino fuori.



— Deve sapere — ella ricominciò — ch’io sono una ragazza romantica, amantissima delle emozioni: perciò, forse, non mi è accaduto mai nulla di straordinario! Amo cambiar spesso vita e mi stanco presto dei luoghi e delle cose che