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Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/230

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— Zia Colù Sono io! Ho veduto luce e ho detto: forse lei deve fare il pane. Datemi un po’ di fuoco, perchè il mio padrone si sente male, e il mio carbone è così umido che non si accende, malanno al tempo! Vi siete spaventata?

Pretu entrò con una tegola in mano e andò dritto al focolare.

— Tu stai lì anche alla notte? Che ha? — domandò Columba con voce rauca.

— No, di notte non ci sto quasi mai, ma si sentiva male già da ieri e allora donna Mariana ha voluto che io dormissi là.... Lei ci ha regalato anche una macchinetta a spirito, ma io ho paura ad accenderla può scoppiare e allora è come se entrasse in casa il diavolo. Vi sentite male anche voi?

— Mi sono alzata perchè ho da lavorare. Prendine, prendine pure, — ella disse, spingendo con la paletta la brage nella tegola. — Che ha?

— Lo so io il male che ha! E viziato, adesso. Gli farò un po’ di caffè. Voi l’avete già fatto?

— Senti. Pretu: vuoi prenderne un po’ in una scodella?... Ebbene, gli dirai che lo avevi già pronto....

— Sì! Uomo da ingannarsi così, quello! E tutt’occhi....

— Va, va, anima mia. — ella disse, visto che il ragazzo s’indugiava. — Magari, dopo, se si addormenta, ritorni....

Dalla porta vide la figurina nera di lui scender la strada rasentando il muro: il vento rapiva un po’ di scintille dalla tegola; i cani urlavano nelle tenebre come anime infernali.

«Io vado....» — disse Columba a sè stessa, e sceso lo scalino attirò a se la porta: ma il vento gliela prese di mano e la respinse, quasi per significarle che faceva male ad allontanarsi di casa sua.