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Seduto su lo scalino alto della porta a destra della sua casa, col bastone fra le gambe e le mani appoggiate al bastone, egli raccontava le sue vicende passate, mentre le donne e i ragazzi lo ascoltavano come se egli narrasse fiabe e leggende.
Anche questo quadro caratteristico non s’è mai scolorito nella mia memoria.
Alle spalle del vecchio, accoccolata sulla soglia si vedeva sua figlia Liedda, vedova anche lei precocemente invecchiata da una malattia di cuore; come sfondo alla sua figura nera dal viso cereo l’interno della cucina rosseggiava al chiarore del focolare acceso anche d’estate, e le casseruole di rame brillavan sulle pareti come lune al tramonto. Nel vano di una finestra al primo piano si sporgeva il visetto bruno e intento di Colomba, mentre Banna (entrambe figlie di Liedda) già fidanzata a dodici anni con un pastore di trenta, alta e precoce, ascoltava i racconti del nonno appoggiata al muro accanto alla porta con le mani sulla schiena e un sorriso ambiguo sulle labbra.
Benchè gemelle Colomba e Banna non si rassomigliavano; la prima col viso ovale bruno come un’oliva, gli occhi d’un nero verdognolo seminascosti da larghe palpebre violacee, era delicata e timida, mentre Banna, robusta, scura in viso come una mulatta, con le labbra grosse, il naso aquilino dalle narici frementi, gli occhi verdastri maliziosi e felini, pareva avesse assorbito lei tutta la vitalità che mancava alla sorella.
Nelle sere di festa s’univa al gruppo il fidanzato di Banna; un semplicione alto o grosso che stava in ammirazione davanti al vecchio e non badava alla promessa sposa.
E il vecchio raccontava e pareva prendesse gu-