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detti che si trattasse dell’eterno conflitto fra generazione e generazione: egli era vecchio, aveva trascorsa una vita selvaggia; io ero quasi ancora un fanciullo e coglievo ogni occasione per inveire contro gli usi primitivi del paesetto e predicare l’amore verso il prossimo, la giustizia, la pace fra gli uomini.
Il vecchio mi trattava con ironia; pareva mi considerasse come un ragazzo debole corrotto e si divertiva talvolta a beffarsi di me in presenza di Columba.
Spesso mi diceva:
— Finchè non ti levi l’abitudine di portar calze non sarai uomo: chè forse tuo nonno e tuo padre le portavano?
Se Columba interveniva egli si beffava anche di lei.
Seduto davanti alla porta appoggiato al suo bastone d’oleastro grosso e lucido come una piccola colonna, raccontava le sue storie e coglieva ogni occasione per rivolgere a me od a Columba frasi ironiche.
— Uccellino calzato, tu non avresti fatto questo; tu attraversi più facilmente il tuo letto che quello di un torrente straripato.
— Le donne di quel tempo non avevan paura: non erano come la nostra agnellina che cade svenuta se un sorcio attraversa il portico.
Le donne ridevano, e specialmente la mia matrigna: ella mi aveva suggerito l’idea di sposar Columba; adesso che ero stato accettato pareva ne provasse dispetto, e fra lei e Banna e le altre donne del vicinato eran continui pettegolezzi a proposito di noi due fidanzati.
In ottobre ripartii: ma dopo qualche giorno dovetti ritornare perchè una terribile malattia, il carbonchio, uccideva mio padre.
Invece di chiamare subito il dottore la mia