Pagina:Deledda - Cosima, Milano, Treves, 1937.djvu/137

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cosima 99


ruba un litro d’olio: è facile, questa ladroneria, perché lei e le sorelle, quando la madre e la serva sono occupate in cucina, e qualche donna viene a comprare olio o vino, non sdegnano di servirla. Arriva dunque la donna di servizio della famiglia del cancelliere del Tribunale, che abita da pochi giorni la casa della zia Paola, in fondo alla strada, e compra un fiasco d’olio: Cosima riceve la somma, in piccole monete di argento da mezza lira l’una: a lungo, andata via la donna, ella tiene quei semi bianchi entro il pugno, fino a scaldarli; ha scrupolo, ha paura, anche un po’ di vergogna; ma poi pensa che un familiare non esita a intascare metà del fitto del bosco e del provento delle mandorle, per sprecarlo col gioco e con le donne, e divide anche lei le monete: metà alla casa, metà alla gloria. È vero che poi rivelò il peccato al confessore, dicendo di aver rubato, senza però riferirne il motivo: e per penitenza digiunò il venerdì e il sabato.


Presto arrivarono le bozze di stampa del romanzo. Cosima non sapeva con precisione di che si trattasse: credette che l’editore le mandasse un campione, e si meravigliò che le pagine fossero lunghe come le colonne di stampa dei giornali. Le tenne lì, trovando buffo e quasi allucinante quel trasformarsi del suo lavoro. Il suo nome, in cima, sovrastante al titolo, le dava quasi soggezione: le pareva fosse troppo esposto alla curiosità del lettore.