Pagina:Deledda - Cosima, Milano, Treves, 1937.djvu/161

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mi degli alberi le ultime foglie palpitavano come farfalle d’oro e i monti riprendevano le loro tinte azzurre e rosee.

Quando il tempo era bello capitavano nell’orto la padrona che non sdegnava di coltivare i cavoli e i carciofi, e le «bambine».

Cosima aveva già venti anni; ma a volte ne dimostrava di meno, a volte di più. Il viso bianco, corrucciato, gli occhi che sembravano selvaggi, la fronte coi capelli tirati su e stretti con la noncuranza delle donne vecchie, si aprivano e illuminavano come il cielo in quelle ambigue mattine, quando il riso schietto le sgorgava dai denti stretti con la violenza d’un’acqua sorgiva dalla roccia.

Ora, nelle assenze di Andrea, spesso costretto a recarsi in campagna per sorvegliare chi lavorava, sapendo che di Santus il mugnaio poteva, con l’aiuto diabolico dell’acquavite, farne quello che voleva, ella penetrava con coraggio nel frantoio, e faceva le sue brave ispezioni. C’era, anche nella cameruccia di Andrea, un registro dove venivano segnate le «macinate» delle olive; ogni macinata sette quarti di ettolitro di olive; compenso due litri d’olio grezzo lasciato nel paiuolo apposito o, se il proprietario preferiva, due lire in contanti. Molti lasciavano correre il tempo, prima di pagare, e allora il conto rimaneva aperto. Ed ecco Cosima, seduta al tavolo dove c’erano gli avanzi del pane e dei cibi dei fratelli, sfogliare l’unto registro e se-