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Pagina:Deledda - Cosima, Milano, Treves, 1937.djvu/173

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ni innalzavano una muraglia azzurra intorno all’orizzonte. Un colono del Continente coltivava, fin dal tempo in cui era vivo il padre di Cosima, la vigna da lui piantata, e un grande orto che godeva di un rivolo d’acqua raccolto in una vasca ampia come un laghetto, circondata di giunchi, canne e salici selvaggi.

Il luogo era bello: una specie di oasi nella desolazione della pianura incolta e pietrosa, saettata, nell’estate, da un sole implacabile. Ed ecco, adesso, la casetta di pietra lo rendeva più pittoresco ed ospitale: erano appena due stanze, addossate ad un’altra, piccola, che fino a quel tempo era stata l’abitazione del solitario colono, il quale non si moveva mai dal posto, rifornito ogni tanto di pane e altri viveri da Andrea, che di ritorno portava a casa i prodotti dell’orto. Erano per lo più patate, legumi, verze, zucche e insalate, e qualche volta anche poponi e cocomeri. E nella stagione l’uva, quasi tutta da vino, quel vino leggero ma saporoso che aveva aiutato Cosima a comprar francobolli e spedir manoscritti.

Fu dunque mandato un carro di mobili, come si usava per andare al Monte: e Cosima si offrì ad accompagnare la madre, mentre le sorelle, che non volevano neanche sentir parlare di un luogo sperduto come quello, sarebbero rimaste a casa sotto la sorveglianza della serva fedele.

Il servo che accompagnava il carro sarebbe ri-