Pagina:Deledda - Cosima, Milano, Treves, 1937.djvu/200

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154 grazia deledda


dal seno una chiavetta pendente da una catenella nera, e aprì il ripostiglio: la lastra si sollevò, in due piccoli battenti, ed egli introdusse la mano nel vuoto, molto in fondo, parve come slegare un sacchetto o un involto che fosse in quel fondo e ne trasse un pugno di monete: le guardò, nel cavo della mano, come si guardano le sementi per assicurarsi che sono buone, poi le fece vedere a Cosima. La sua mano concava ricordò alla fanciulla la mestola con la quale il diavolo trae dalla pentola dei tesori maledetti le monete tentatrici delle anime: si scostò d’un passo, quasi impaurita, e guardò in viso il vecchio. E invero quel viso scuro, con gli occhi che sembravano due fessure con in fondo un’acqua verde opaca, e quella bocca chiusa, ermetica, aveva qualche cosa di diabolico: i pensieri più cattivi e paurosi passarono in mente a Cosima: ebbe paura, guardò verso la porticina: la porticina era aperta, ed ella avrebbe potuto subito salvarsi se il vecchio tentasse farle del male. Egli dovette sentire tutte queste cose perché il suo viso cambiò maschera: si fece triste. Mai Cosima aveva veduto un viso così nobilmente triste, accigliato e severo.

— Sono buone, — egli disse, tirando su con le dita dell’altra mano le monete, e lasciandole ricadere nel pugno.

Cosima lo vedeva bene: erano monete che sembravano nuove, alcune col profilo melanconico e