Pagina:Deledda - Cosima, Milano, Treves, 1937.djvu/89

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carattere quasi violento dei due ragazzi. Gioanmario si mise a studiare con dura tenacia, e in soli due anni superò gli esami del liceo, inscrivendosi poi alla facoltà di legge. Ma lo studio, le privazioni, l’orgoglio punto dalla persistente ostilità della famiglia di Enza, lo rendevano cupo e nervoso. A volte i suoi occhi erano venati di rosso, e la voce aspra, le parole amare.

Vennero però tristi giorni anche per la famiglia di Cosima: Andrea non andava bene: si diceva che già avesse un figlio, da una bella ragazza del popolo, e che giocasse coi suoi amici scapestrati. Invano il signor Antonio cercava di richiamarlo sulla buona strada: lo mandava a sorvegliare i lavori delle carbonaie, a vigilare i poderi. Andrea obbediva; era, come si disse, buono e molto generoso, ma anche lui trascinato da istinti di razza, sensuale e impulsivo. E anche l’altro, il maggiore, si era, dopo la disgrazia dei fuochi artificiali, come incrinato. Incrinato: come s’incrina ad un urto una tazza di cristallo, un vaso di porcellana. Continuava i suoi studi, all’Università di Cagliari, mentre Antonino aveva ottenuto, poiché la sua famiglia ne aveva a sufficienza i mezzi, di andare a Roma.

Forse anche la lontananza dell’amico fu per Santus dannosa: egli cominciò a frequentare compagni meno intelligenti e fini, e a domandare denari più del necessario. Anche di lui si seppe che